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In Breve

| 21 luglio 2019, 08:00

Pasquale Indulgenza ovvero il confine dell'anima, nel ricordo di PierLuigi Casalino

Filosofo e poeta, più ancora che politico, autore di finissime liriche, pervase da un ermetismo, mai peraltro di maniera, Indulgenza cercava l'uomo in sé e negli altri.

Pasquale Indulgenza ovvero il confine dell'anima, nel ricordo di PierLuigi Casalino

Il confine dell'anima umana è sconfinato. Così scrive Eraclito nel suo celebre frammento B 45. E questo era il senso dell'esistere anche per Pasquale Indulgenza, intellettuale e polemista imperiese che ci ha lasciato due mesi fa. Se di lui ci rimane soprattutto l'eco delle sue appassionate battaglie politiche e dei suoi generosi impegni didattici, il logos o principio dell'anima era, invece, per Indulgenza la ragione principale e profonda dell'essere, il significato inaccessibile e infinito dello spirito umano. E ciò aldilà delle diverse  nostre contingenti e parziali rappresentazione del mondo. Filosofo e poeta, più ancora che politico, autore di finissime liriche, pervase da un ermetismo, mai peraltro di maniera, Indulgenza cercava l'uomo in sé e negli altri.

Indulgenza intuiva che la tentazione tipica della moderna civiltà tecnologica è di semplificare la complessità del reale, scartando come assurdo o inutile tutto ciò che non è riducibile alla dimostrazione sperimentale. La razionalità di Indulgenza era un'altra razionalità. Era quella di preferire la grammatica alternativa della poesia che sconvolge l'ordine, generando un caos fecondo. Un caos da cui nasce la stella di una verità più luminosa. La morte resta dunque la sola e grande scommessa dell'eternità, il termine ultimo da cui ricominciare a vivere. E come per la cultura greca, anche per Indulgenza all'anima è assegnata l'immortalità, cioè la qualità divina. Tutto il resto ha un inizio e una fine. Di formazione marxiana, e al tempo stesso classica, Pasquale Indulgenza ci ricordava per molti aspetti Concetto Marchesi, l'ultimo vate della civiltà antica, anche controcorrente rispetto alle dogmatiche direttive partitiche del suo tempo. Come il grande latinista e parlamentare siciliano del PCI,  Idulgenza non abbandonava mai il percorso segreto e critico verso la ricerca della verità, una verità che, per lui, andava oltre il concetto stesso di verità e finiva per interpretare uno struggente sentimento universale, ricco di immagini oniriche, ma anche capace di esprimere una straordinaria umanità, oltre ad una ferma difesa dei propri convincimenti in un sano confronto con gli altri.

Un'umanità, quella di Indulgenza,  che, anche a chi dissentiva dalle sue idee sulla moderna polis, appariva trasfigurarsi in qualcosa di "naturalmente" cristiano, un  configurarsi come una vera e propria teoria dell'estetica artistica e sociale. Rispettoso della mia visione provvidenziale, incarnava, da parte sua, il ruolo di uno studioso libero da pregiudizi ideologici, salvo la fede sociale che lo animava, rinviando se stesso al messaggio di spiritualità  materialista, del grande Lucrezio.  Al pari di Concetto Marchesi,  egli osservava con rammarico il crollo, comunque, dei valori ideali e del buon senso. Nel commentare sconsolato, qualche giorno prima di arrendersi ad un fatale ed inatteso destino, l'attuale deriva culturale, mi confidò tutta la sua amarezza davanti ad una società banale e superficiale. Una società capace solo di condividere astrattamente e non più in grado di stabilire un rapporto umano autentico.

Questo il lascito dolente, e pur illuminante, di un intellettuale deluso dalla pochezza dei suoi contemporanei: una pochezza ancor più grave del venir meno della stessa dialettica politica che ha progressivamente lasciato spazio ad una vuota democrazia di facciata.

Redazione

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