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Imperia Città | 24 gennaio 2020, 12:07

Reggio Calabria: processo 'Breakfast', l'accusa insiste "Scajola è un reo confesso, un uomo dello Stato che ha commesso un grave reato"

Ora la parola passa alla difesa per le controrepliche e, quindi, è prevista la camera di consiglio e la sentenza.

Reggio Calabria: processo 'Breakfast', l'accusa insiste "Scajola è un reo confesso, un uomo dello Stato che ha commesso un grave reato"

“Dalle intercettazioni in atti nessuno degli imputati ha invitato Matacena a costituirsi alle autorità italiane. Scajola è un reo confesso rispetto al fatto contestato; in più occasioni ammette di essersi adoperato per un latitante condannato per reati di mafia e lo ha fatto anche durante il suo esame in aula. Oltre al profilo confessorio dall’esame è emersa l’adesione psicologica del soggetto nei cui confronti è stata formulata l’imputazione”.

Ci è andato giù pesante il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, durante le proprie repliche svoltesi all’aula bunker di viale Calabria. Dopo essersi visto rigettato la richiesta di interruzione della requisitoria, da parte del Tribunale presieduto da Natina Pratticò, poiché il neo collaboratore di giustizia Pino Liuzzo aveva messo a verbale nuove dichiarazioni, l’accusa ha proseguito nel proprio intervento. Tra gli imputati del processo 'Breakfast' c’è l’ex Ministro dell’Interno, e attuale sindaco di Imperia, Claudio Scajola insieme a Chiara Rizzo, ex moglie del parlamentare forzista Amedeo Matacena, e a Martino Politi e Maria Grazia Fiordelisi, collaboratori della coppia, tutti accusati di aver fatto parte di una fitta rete il cui scopo era quello di far scappare proprio il Matacena in Libano.

L’armatore reggino, ed ex parlamentare di Forza Italia è stato condannato negli anni scorsi a tre anni di carcere in quanto ritenuto definitivamente responsabile del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Sentenza che non è potuta divenire esecutiva poiché Matacena è scappato a Dubai, località in cui attualmente si trova latitante. Scajola, secondo l’accusa avrebbe tentato, grazie alla complicità di Vincenzo Speziale junior- che ha già patteggiato ad un anno di carcere (pena sospesa)- di progettare il suo spostamento nel paese dei cedri grazie alla conoscenza politica con l’allora presidente libanese Amin Gemayel. Un trasferimento che non si verificherà ma che è costato a tutti il coinvolgimento nell’inchiesta e l’ordinanza di custodia cautelare emessa l’otto maggio del 2014. Scajola ha invece, sempre rigettato l’accusa sostenendo di essersi interessato solo per una eventuale richiesta di asilo politico. Una procedura legale che, per l’imputato, non ha mai ravvisato il profilo illecito né alcun aiuto al latitante.

“Ho trovato negli atti della mia cancelleria che il 24 settembre del 2014 i difensori di Scajola hanno depositato una richiesta di patteggiamento da parte di Scajola per evitare il clamore mediatico, ma l’arresto è del maggio precedente. La risonanza mediatica - ha chiosato il pm nelle repliche - già c’era stata, erano mesi che la stampa si occupava della vicenda”. Questo per il pm sarebbe una chiaro 'passo' dell’ex Ministro per ammettere le proprie responsabilità: “Abbiamo sia una confessione processuale, con le dichiarazioni di Scajola in aula, che è procedurale, con la richiesta di patteggiamento”, ha sottolineato il pm il quale successivamente ha riflettuto sul rapporto tra Scajola e Speziali. “Durante l’arringa dei difensori di Scajola si è detto che l’imputato non ha mai chiamato Speziali; a parte che se una telefonata non è gradita si può anche riattaccare, ma il dato non è vero. A me risultano, ha riferito il pm, secondo quanto attestato dalla Dia, che ci sono 37 chiamate effettuate da Scajola a Speziali” per poi aggiungere che “I difensori ci dicono che Speziali è un millantatore, lo hanno ridicolizzato, ma lo stesso Scajola ci ha detto che Speziali gli è sembrato un personaggio vicino a Gemayel, ben inserito nelle dinamiche libanesi e agganciato. A Speziali non lo si può credere a metà”.

L’accusa poi ha riferito in merito a una lettera, scritta il 13 febbraio del 2014 in cui l’ex ministro Scajola alla Rizzo ha scritto “addio”. “Una lettera veritiera - ha aggiunto il pm - poiché i due non si sentono e non si vedono più e soprattutto non parlano più di determinate questioni: ovvero il marito latitante. Ed è effettivamente così, ma mi dispiace per l’onorevole Scajola perché questa lettera non ha alcun peso in questo processo. Siamo in presenza di un uomo dello Stato che ha commesso un grave reato. Scajola sapeva perfettamente di aver commesso condotte penalmente rilavanti e infatti il 24 settembre ha chiesto di patteggiare, voleva chiudere la vicenda. Un richiesta rigettata dal pubblico ministero poiché Scajola voleva patteggiare solo attraverso una pena pecuniaria. Scajola sapeva di aver aiutato un latitante per mafia e poi si è anche adoperato per impedire - ha chiosato l’accusa - che la Rizzo vivesse in miseria e che quindi potesse continuare a vivere a Montecarlo”.

L’accusa ha quindi, dopo circa un’ora, ha terminato le proprie repliche chiedendo nuovamente di ritenere gli imputati penalmente responsabili. “Per condannare gli imputati - ha detto al Tribunale - vi basta solo una ricostruzione logica oltre alla ricostruzione della Procura e quanto riferito dai testimoni”. Adesso la parola passerà alle difese e successivamente il Tribunale si ritirerà in camera di consiglio per emettere la sentenza.

Angela Panzera

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