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Sanità | 09 dicembre 2018, 08:00

Il rifiuto dei ragazzi di andare a scuola cosa nasconde? Indicazioni dalla psicologa

Ritorna l’atteso appuntamento con la nostra Psicologa, la Dottoressa Irene Barbuni

Il rifiuto dei ragazzi di andare a scuola cosa nasconde? Indicazioni dalla psicologa

Parliamo di rifiuto scolare in tutti i casi in cui un bambino o un ragazzo manifesta paura/opposizione ad andare a scuola. Nella pratica clinica ci si rende conto di come questo tipo di disagio sia in crescita negli ultimi anni. Spesso la sintomatologia si presenta dopo un periodo di non frequentazione della scuola, come le vacanze estive o una lunga assenza dovuta ad una malattia, e a volte è preceduta da un evento scatenante. Inoltre è più frequente in alcune fasce di età (5-6, 10-11, 12-15 anni) e colpisce più facilmente i figli unici, i maschi e i primogeniti o prediletti nell’80% dei casi (Ollendick & Mayer). Non sono state riscontrate differenze legate allo status socioeconomico (Last & Strauss; Baker & Wills).

Il rifiuto scolare è accompagnato da forte ansia che compare all’arrivo a scuola o già nel momento in cui si esce di casa o, in alcuni casi, anche la sera prima. L’ansia può sfociare anche in attacchi di panico e forte angoscia. Diversi sono i sintomi somatici che possono presentarsi, ad esempio: vertigini, mal di testa, tremori, palpitazioni, dolori al torace, dolori addominali, nausea, vomito, diarrea, dolori alle spalle, dolori agli arti.

Al di là della manifestazione del disturbo, che può essere simile in molti casi, il rifiuto scolare assume differenti sfaccettature in quanto si associa ad altre sintomatologie. Tra queste abbiamo: l’ansia da separazione, l’ansia generalizzata, la fobia sociale, la fobia specifica, gli attacchi di panico, il disturbo post traumatico da stress, la depressione, il disturbo oppositivo-provocatorio, i disturbi specifici dell’apprendimento.

I fattori scatenanti possono essere molteplici. In alcuni casi è possibile identificare un evento di vita stressante che può aver notevolmente influito sull’esordio della sintomatologia (ad esempio problemi all’interno della famiglia o difficoltà con il gruppo dei pari), ma non sempre è così.
Comunque al di la’ dei possibili fattori scatenanti, che possono essere molteplici, o della predisposizione caratteriale, è importante considerare l’ambiente sociale e culturale. Infatti solo riflettendo su questo è possibile rintracciare anche i fattori che contribuiscono al mantenimento del disturbo.

In primo luogo si instaura l’idea che gli eventi spiacevoli che causono l’ansia vadano allontanati. Quindi se frequentare la scuola mi crea ansia tolgo il “problema”, non vado a scuola. Questa tattica comunque mostra la difficoltà del soggetto a porsi in modo attivo di fronte all’ansia, nel senso che non si pone nell’atteggiamento di cercare di sopportarla, di tenerla e quindi di gestirla.  In secondo luogo non è più presente un senso del dovere. La scuola è scaduta a prassi fastidiosa, non è più percepita come luogo di emancipazione sociale e personale. L’obbligo scolastico infatti è nato per dare il diritto ai bambini allo studio in epoche in cui essi diventavano molto presto forza lavoro. L’istruzione era il mezzo per arrivare ad una posizione sociale più alta. Oggi quell’epoca è lontana e culturalmente la scuola dall’essere un privilegio è diventato un obbligo sempre più spesso vissuto quasi come “inutile”. Spesso si sente dire “tanto studiare non serve a trovare lavoro” oppure “ma tanto a scuola si imparano cose inutili”.

L’ansia relativa ad una parte della nostra vita è più “sopportabile” e quindi “superabile” nel momento in cui si ha una certezza: quell’esperienza è “fondamentale per me stesso”. Gli individui che sopportano e superano le proprie difficoltà diventeranno personalità più forti. E’ quindi fondamentale, in questi casi, intraprendere un percorso di psicoterapia che sostenga il bambino e i genitori e che, oltre ad analizzare le fragilità profonde, fornisca una visione di quella sofferenza non come una “malattia”,  ma come l’occasione per evolvere la propria personalità verso la capacità di affrontare le difficoltà della vita.

Inoltre, per prevenire questo tipo di rifiuto è fondamentale che il bambino venga gradualmente accompagnato ad affrontare da solo le piccole difficoltà e frustrazioni: come accettare la responsabilità di un brutto voto, saper fare le proprie ragioni di fronte ad una presa in giro da parte dei compagni. Il genitore deve essere presente come ascoltatore e come “dispensatore” di consigli, ma è bene che il bambino affronti poi da solo le difficoltà, in quanto l’adulto non può e non deve essere sempre presente. Non dimentichiamo che l’educazione di un bambino deve tendere alla sua autonomia. Questo forme d’ansia denunciano, a caratteri forti, l’inadeguatezza del bambino e la sua dipendenza dall’adulto.

 

                                                                                  Dott.ssa Irene Barbruni

 

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Roberto Pioppo

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