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Economia | 14 ottobre 2020, 17:29

Nuovo Dpcm, l'allarme della Cna Agroalimentare: "Con ulteriori restrizioni, a rischio la sopravvivenza delle imprese"

"Le nuove limitazioni al tessuto economico, sottolinea l'associazione di categoria imperiese, produrranno un impatto negativo su vasti settori con il rischio che alcune imprese non riusciranno più a risollevarsi"

Nuovo Dpcm, l'allarme della Cna Agroalimentare: "Con ulteriori restrizioni, a rischio la sopravvivenza delle imprese"

“La tutela della salute e la salvaguardia del sistema economico possono e devono procedere di pari passo. Le misure di contenimento dovrebbero ispirarsi a questo filo conduttore assieme a buon senso, equilibrio e responsabilità individuali e collettive.”, così interviene Luciano Vazzano, segretario territoriale Cna Imperia sul tema delle misure restrittive applicate a seguito dell’emanazione del nuovo Dpcm del 13 ottobre.

“Sapevamo che avremmo dovuto convivere con il virus per un tempo indeterminato, in attesa del vaccino, ed attrezzarci per rafforzare la strategia di contrasto al Covid-19. Alla luce dell’aumento dei positivi degli ultimi giorni, prosegue, l’esecutivo ha deciso di prolungare lo stato d’emergenza fino al 31 gennaio 2021, prevedendo nuove regole e divieti per arginare la diffusione del virus. La riduzione degli orari di alcune attività insieme ad altre restrizioni al tessuto economico produrranno un impatto negativo su vasti settori già in grave sofferenza, costituiti da imprese che già faticavano a riprendersi dalla chiusura forzata degli scorsi mesi, con il rischio che alcune non riusciranno più a risollevarsi, mentre non è certo il loro effetto di contenimento del virus considerando che quasi l’80% dei contagi avviene in ambito familiare.”

“Se i numeri servono a qualcosa, continua Vazzano, ci dovrebbero dare la dimensione della situazione dei contagi, per avere un approccio razionale e non emotivo e soprattutto per non creare ulteriore allarme e tensione, che si somma a quella già accumulata in tutto questo periodo. Si continua a dire la Lombardia è la Regione con maggiori contagi senza dire mai che la Lombardia ha oltre 10 milioni di abitanti, seconda il Lazio con quasi 6 milioni, più della metà dei quali è a Roma: se vediamo tutto dalla prospettiva di una formica, ogni cosa appare un gigante. Non crediamo che il problema dell’aumento dei contagi venga dal mondo della ristorazione e in assoluto dal mondo delle imprese. Lo diciamo come CNA da sempre impegnata nel rispetto delle misure anti Covid: è fondamentale il senso di responsabilità da parte di tutti e il rispetto delle poche e semplici regole così come la capacità degli enti locali e delle forze dell’ordine di far rispettare le disposizioni contro gli assembramenti e assicurare l’osservanza delle norme. Un appello anche ai mezzi di informazione, strumento prezioso per mantenere alta l’attenzione. ma evitando di alimentare un clima di paura.”

“In questa situazione, il bonus ristorazione, che sostiene le attività di ristorazione attraverso un contributo a fondo perduto per acquisto di prodotti delle filiere agricole e alimentari, è una buona risorsa, anche alla luce dell’ampliamento previsto, ma sicuramente non è strategico: i benefici sono limitati ad alcuni codici Ateco, non riguarda ad es. le pizzerie al taglio, le pasticcerie, i bar, le rosticcerie etc., mentre le nuove restrizioni parlano di “ristorazione”, andando a penalizzare tutto il settore.”

“Ciò che siamo, quello che valiamo nel mondo come “marchio”, lo si deve anche all’offerta alimentare e ristorativa del nostro territorio: è questo che piace ai turisti che vengono in Italia ed è anche questo che contribuisce a tenere alte le esportazioni di qualità, che sappiamo esprimere in molti campi. L’immagine che la filiera alimentare ha creato dell’Italia è quella del saper fare bene e con qualità, è quella di avere i migliori produttori ed i migliori cuochi al mondo, assieme a molte altre eccellenze, paesaggio, arte, città storiche. E’ un’immagine che da sola ha contribuito al benessere di questo Paese, trascinando la domanda del “Made in Italy” alimentare e non solo. Solo per questo varrebbe la pena starci ad ascoltare con attenzione, senza voler tirare in ballo la tradizione, l’esempio di locali oramai entrati nell’immaginario collettivo come mete di culto, i milioni di occupati del settore, il fatto che in molti casi anche solo un ristorante mantiene in vita un piccolo borgo con i suoi clienti, che nel fine settimana, armi e bagagli si organizzano per pranzi e cene fuori porta. “

"Se ristoranti, bar, pizzerie, pasticcerie non hanno più clienti, conclude, dovranno cambiare mestiere, ma qualcuno può veramente pensare che il “made in Italy” sia un logo su una maglietta o lo stemma su un’auto di lusso? Se fosse così allora si può anche pensare che tutto il settore possa dal giorno alla notte sparire, o trasformarsi, magari lasciando il campo a qualche grossa catena di ristorazione. E stiamo parlando di attività con sedie e tavoli ben “appoggiati” sul territorio nazionale, attività che pagano tasse e stipendi, attività che producono e consumano in Italia: l’idea che questi luoghi potrebbero trasformarsi in 'buchi vuoti' dovrebbe fra rabbrividire chiunque”. 

C.S.

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