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Sanità | 20 febbraio 2021, 07:00

La dieta: il nostro stile di vita!

I consigli di Nutrigenomica di Simona Oberto

La dieta: il nostro stile di vita!

Nella nostra società la parola "dieta" è stata privata del suo significato originario, diventando il simbolo di qualcosa che deve essere seguito con sacrificio e rigorosità, all’interno di gabbie e obblighi comportamentali che nel tempo portano a scompensi psicoemozionali e a pericolose carenze nutrizionali.

 

L’etimologia del termine dieta risale all’antica Grecia. In quell’epoca “dieta” significava “stile di vita”. Un modo di vivere caratterizzato da abitudini salutari in ogni ambito: dall'alimentazione all'esercizio fisico, dal riposo alle relazioni socio-familiari, fino allo sviluppo delle proprie capacità e attitudini.

Prendersi cura della propria persona era un precetto fondamentale che veniva insegnato fin dalla giovanissima età e che permetteva di crescere con una condotta personale buona ed equilibrata. La salute era una sorta di “materia scolastica” che accompagnava l’alunno/persona in tutto il suo percorso educativo e di vita. Il buon cibo, l’ambiente salubre e i buoni pensieri venivano considerati elementi indispensabili per la propria crescita personale. Il cibo fresco e naturale era visto come una sorta di “carburante” indispensabile per il buon funzionamento del corpo e della mente.

 

Insomma la parola “dieta” abbracciava l’ampio concetto di salute a 360°. Un significato molto lontano da quello che ha assunto ai nostri giorni: una terapia sottrattiva dimagrante, da seguire solo ed esclusivamente come rimedio temporaneo in seguito agli eccessi dei periodi di festa, o per paura della fatidica “prova costume”, o perché  imposto dal medico a fronte di patologie come il diabete o la sindrome metabolica. A mio parere quando parliamo di dieta dovremmo parlare di una vera e propria “cultura alimentare” che meriterebbe di essere insegnata come una vera e propria materia scolastica.

 

Purtroppo nella nostra società industrializzata, il rapporto col cibo si è strutturato in modo assolutamente distorto, rivelando una sorta di “disordine”, caratterizzato da comportamenti che oscillano tra il rifiuto sistematico del cibo o la sua ricerca ossessiva.

Un rapporto di amore e odio che sta producendo milioni di “vittime” incastrate in loop mentali dai quali è sempre più difficile uscire. La straordinaria abbondanza di cibo ha innescato complessi meccanismi psichici per cui il cibo è diventato un “problema”. Ha assunto le sembianze di un’ossessione, di un desiderio incontrollabile, di un nemico da evitare...o peggio ancora è diventato un surrogato dell’amore, degno sostitutivo di tutte quelle mancate gratificazioni che lasciano un grande vuoto nelle nostre giornate.

 

Quello che manca nella nostra società dei consumi è proprio una “educazione alimentare” che non riguarda solo le conoscenze mediche e nutrizionali del cibo, bensì gli aspetti antropologici, psicologici ed emozionali a lui connessi. Bisognerebbe interrogarsi e chiedersi se stiamo facendo un buon lavoro sotto questo aspetto, soprattutto come genitori, perché quasi sempre le nostre sbagliate abitudini alimentari si ripercuotono anche sulla salute psicofisica dei nostri figli. Come sempre la cultura e l'ambiente giocano un ruolo determinante in questo caso. Vi faccio un esempio.

 

Prendiamo a confronto due diverse culture: quella giapponese e quella statunitense. In generale la mamma giapponese dedica una grande attenzione alla preparazione della colazione dei propri figli, curando non solo la quantità e la qualità del cibo, ma anche la sua coreografia, intagliando, ad esempio, la frutta in forma di piccoli animaletti. La madre statunitense invece si ritiene già fortunata quando la mattina riesce a vestire sua figlia, a darle da mangiare e a farla uscire di casa con un panino di pasta d’arachidi o una merendina.

 

Questa diversità di comportamenti influenzerà a sua volta, non solo lo stato di salute, ma anche le abitudini alimentari del bambino che crescerà sviluppando un rapporto con il cibo completamente diverso: qualcosa di sacro e importante, legato a un rito che merita tempo e ricerca, per il bimbo giapponese e qualcosa di futile e secondario da consumare in fretta e voracemente, per il bimbo statunitense.

 

Ecco che il primo danno è stato fatto! Cibo zuccheroso, senza vita che andrà a stimolare fin dal mattino l’insulina e un iper lavoro sia del pancreas che del fegato; senza contare il fatto che tutte le sostanze chimiche (zuccheri, additivi, conservanti) avranno un impatto negativo sul sistema immunitario predisponendo il bambino a forme di intolleranze, allergie, iperreattività e disbiosi. Il ruolo della madre nell’educazione alimentare dei propri figli è determinante.

 

Il comportamento materno influenza il comportamento e le credenze del bambino: ogni madre dovrebbe prendersi cura dell’alimentazione del proprio figlio, insegnandogli a comportarsi secondo certi modelli di salute ed equilibrio. Invece molto spesso ci si limita a trasmettere le proprie abitudini, credenze e preferenze connesse al cibo, senza chiedersi se  il cibo che stiamo assumendo possegga realmente tutte le qualità di freschezza e naturalità che solo un buon cibo possiede. Insomma la frenesia della giornata, quasi sempre costellata da problemi che devono essere risolti, distoglie il genitore da uno dei suoi compiti più importanti: quello di educatore.

 

Il problema è che se le abitudini alimentari della mamma/nonna sono sbagliate, questo influenzerà non solo il figlio/i ma l’intera famiglia. C’è da dire però che i figli, sempre più influenzati da modelli esterni sbagliati e messaggi commerciali accattivanti, influenzano gli stessi genitori con il loro comportamento, più di quanto i genitori stessi si rendano conto.

 

Ad esempio, un bambino con un temperamento difficile, iperattivo, facilmente irritabile sarà più propenso a richieste particolarmente insistenti di cibo spazzatura, non mangerà ad intervalli regolari, rifiuterà il cibo fresco e naturale come ad esempio le verdure ed i genitori, quasi sempre sovraccaricati da altri stimoli stressogeni personali, più o meno consapevolmente cominceranno ad adattarsi alle sue specifiche richieste.

 

Una volta che in famiglia si è radicata l’abitudine al cibo iperprocessato e calorico, quindi molto ricco di zuccheri e additivi, come gli esaltatori di sapidità in grado di creare una sorta di dipendenza, in men che non si dica l’eccezione si trasformerà in abitudine: cominceremo a pasteggiare con le bibite gasate, i sughi pronti, le scatolette, i dolci confezionati. Cibo spazzatura che nutrirà non solo tutti i nostri scompensi organici/metabolici, ma anche quelli psicologici: il bambino sarà sempre più iper-reattivo e il genitore sempre più iper-stressato e ipo-soddisfatto. Per quanto sottovalutato, il nostro comportamento alimentare è determinato in larga misura dal contesto socio-culturale nel quale viviamo. Lo stile alimentare in generale non è quindi solo espressione di un bisogno fisiologico per garantire la sopravvivenza degli individui, ma è anche una importante espressione culturale della società.

A livello individuale, lo stile alimentare è diventato una cartina di tornasole della personalità. A livello sociale, il cibo è più che mai un marcatore della identità di gruppo, un catalizzatore intorno a cui si celebrano riti grazie ai quali i gruppi sociali tendono a differenziarsi fra loro.

 

La ritualità associata al cibo è presente in varie forme nella nostra società e la riscontriamo nel pranzo della domenica, una sorta di celebrazione della riunione familiare; nella cena a lume di candela, l’espressione di una complicità di emozioni e intenti; nei fast food, luoghi simbolo della globalizzazione e del gruppo adolescenziale.

 

Insomma il cibo ha una valenza che va oltre i valori nutrizionali, le calorie e le quantità, tutti aspetti tipici della dieta di sottrazione a cui siamo abituati. Il cibo sia a livello fisico che emozionale ha una valenza più ampia, perché costituisce il primo inevitabile nutrimento che ci permette la vita: a partire dalla vita prenatale, quando il feto cresce e si forma in base ai nutrienti che riceverà dalla madre o ai momenti salienti dell’allattamento, della suzione, dello svezzamento che non sono solo finalizzati alla nutrizione, ma rappresentano fasi di svolta dello sviluppo della personalità del bambino.

 

Del resto il cibo, inteso come nutrimento che permette la vita è inevitabilmente associato simbolicamente all’amore: l’amore di colei (la madre) che ti nutre perché ti ama. Cibo e amore formano quindi un connubio fortissimo che condizionerà fortemente tutta la nostra vita. Un cibo che in mancanza di amore diventerà il suo surrogato.

 

Quindi abbondanza di cibo diventa abbondanza di amore e questa pericolosa associazione porta madri e nonne a sovraccaricare di cibo figli e nipoti, con la convinzione di dare, in questo modo, dimostrazioni di amore. Il sovrappeso non è più visto come eccesso o malattia, ma come abbondanza, salute e prosperità.

 

Dobbiamo imparare a raggiungere un equilibrio ottimale tra i bisogni fisici di pura nutrizione e i bisogni psicoemozionali, puntando alla migliore qualità possibile della materia prima. Il cibo non è solo il “carburante” necessario per il buon funzionamento della macchina corporea, ma è anche piacere, condivisione, rito, spiritualità. Imparare ad avere una buona “educazione alimentare” ci permetterà di insegnare ai nostri figli, in primis il rispetto per sè stessi e poi, le giuste regole di convivenza sociale e familiare nel rispetto dell’ambiente in cui vivono.

 

Una visione distorta della alimentazione da parte dei genitori, durante le fasi di crescita dei propri bimbi, potrà condannarli ad alterate fasi di sviluppo successive che determineranno in essi una fissazione, caratterizzata o da una estrema dipendenza o da un pericoloso rifiuto nei confronti proprio del cibo.

 

Non sottovalutate questi aspetti, pensateci prima di comprare ai vostri figli le tanto amate bibite zuccherate o gli snack iperprocessati! L’amore si dimostra in ben altro modo! 

Redazione

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