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Politica | 29 dicembre 2021, 07:11

Imperia, per Scajola il porto turistico bloccato dall’inchiesta giudiziaria. Guido Abbo: “No, scalo usato come bancomat da Caltagirone”

Il capogruppo di ‘Imperia al centro’ torna sull’attacco scagliato da parte del primo cittadino in consiglio comunale

Imperia, per Scajola il porto turistico bloccato dall’inchiesta giudiziaria. Guido Abbo: “No, scalo usato come bancomat da Caltagirone”

Per il sindaco Claudio Scajola il porto turistico di Imperia è stato fermato dall'inchiesta giudiziaria che ha condizionato amministratori e realizzatori. L’ex ministro che ne è da sempre convinto lo ha ribadito anche in occasione dell’ultima seduta di consiglio comunale, quando è stata votata la proroga di un anno della concessione demaniale sul bacino incompiuto alla partecipata Go Imperia.

Per l'esattezza Scajola ha parlato di 'un inquirente' che, anche se il primo cittadino non lo ha citato, in molti hanno individuato nell'ispettore della Polposte Ivan Bracco, l'investigatore responsabile delle indagini sul porto coordinate dal pubblico ministero Maria Antonia Di Lazzaro

Il passaggio sull'indagine indagine che nella primavera del 2012 ha portato in carcere il costruttore Francesco Bellavista Caltagirone (nella foto sotto il momento dell'arresto del costruttore romano sulle scale del Comune dove si era recato per un appuntamento co nn l'ex sindaco Paolo Strescino,  conclusasi, nel processo trasferito da Imperia a Torino, con una raffica di assoluzioni, non è passato inosservato al capogruppo di ‘Imperia al CentroGuido Abbo che torna sull’argomento.

Lungi da me difendere gli inquirenti di allora o la magistratura o mettere in dubbio anche la buona fede di qualche amministratore e politico del tempo, però, ci sono dei dati oggettivi che non possono essere sottaciuti altrimenti si rischia di diffondere fake news”, dichiara Abbo.  

"Il bilancio di Acquamare -prosegue l'ex vicesindacola società dell’arcipelago di Caltagirone che stava realizzando lo scalo con 10mila euro di capitale sociale, approvato 14 settembre 2012, fuori termine, quindi, visto che doveva essere approvato entro fine aprile 2012, si era chiuso con 180 milioni di perdita. La relazione finale concludeva dando mandato all'assemblea di 'adottare gli opportuni provvedimenti', ovvero mettere in liquidazione la società. Quindi, Acquamare si era fatta prestare 130 milioni dalle banche, prestandone a sua volta 162 ad Acquamarcia, la casa madre. Ciò significa che se non avesse chiesto soldi alle banche, e se non avesse dato soldi alla capogruppo 'che gestiva la tesoreria', avrebbe avuto 30 milioni in cassa, senza debiti. Anche con il fallimento della Acquamarcia sarebbe stata sanissima e, avrebbe tranquillamente finito il porto. Aveva, infatti, ancora 94 posti barca da vendere, per un valore in allora di 60 /100 milioni di euro, aveva ancora 83 compromessi di vendita con i saldi da incassare al rogito e aveva ancora tutti i palazzi della parte a terra da costruire, ante crisi edilizia”.

Il curatore di Acquamarcia -conclude Abbo - avrebbe potuto venderla al miglior offerente, era la perla del gruppo. E, invece, se la sono mangiata insieme a tutto il gruppo Acquamarcia. Il porto è stato usato come un bancomat”.

Diego David

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